Credit: Rossella De Rosa
Solenne, forte, struggente, lugubre. La processione del Venerdì Santo è l’evento religioso che coinvolge e commuove più di ogni altro i cittadini campobassani, ancorato nei cuori e radicato nelle anime. Un momento di coesione unico, che richiama credenti e non, rinsaldato dalla potenza sensazionale della musica. Non manca proprio nessuno al funerale di Gesù, come una promessa che si rinnova ogni anno, un rituale immancabile, per devozione, rispetto, senso di tradizione, oppure, semplicemente, per abitudine.
Le origini La manifestazione affonda molto probabilmente le radici nelle sacre rappresentazioni alto-medievali, ma la notizia storica più precisa risale all’anno 1626: nel documento noto come “Istrumento di concordia tra i Crociati e i Trinitari” destinato a regolare i rapporti tra le due confraternite, si menziona la processione del Venerdì Santo. Originariamente, aveva inizio all’alba del venerdì, partendo dalla chiesa di Santa Maria della Croce alle 6:30; si snodava, poi, per i vicoletti a scala della città vecchia, per rientrare verso le 10:00 in chiesa, dove si compiva lo svolgimento della funzione liturgica. All’epoca, la processione era denominata “Il Mortorio.”

Credit: Rossella De Rosa
La magia della musica Emozione e fede diventano un’endiadi, due parole l’una il completamento dell’altra, grazie alle suggestioni forgiate dalla musica. È proprio questa a dominare l’atmosfera, e non solo nel giorno della processione: durante il periodo quaresimale, infatti, la cittadinanza si ritrova a cantare la Via Crucis ogni venerdì sera e ogni domenica sera, rispettivamente nella chiesa di Santa Maria della Croce e nella Cattedrale; si aggiunge a questa il Settenario, una creazione del maestro Michele de Nigris; composto nel 1891, viene eseguito nella chiesa di Santa Maria della Croce per sette sere di seguito, dal sabato al venerdì che precede la Domenica delle Palme. I fedeli, quindi, ascoltano in religioso silenzio le note dell’inno che dal suo compositore fu denominato “Oh, di Gerico beata”, mentre dal popolo zuchetezù, espressione onomatopeica che allude alla profondità dei contrabbassi.
Credit: Antonio Priston, Archivio Cattedrale
Dulcis in fundo, il De Nigris è anche l’autore del potente “Teco Vorrei, o signore”, l’inno cantato, durante la processione, da un coro di circa settecento elementi di entrambi i sessi, tutti rigorosamente vestiti di nero. Un’unica voce, calda, vigorosa, supportata dalla banda, con un forte impatto da parte degli strumenti a percussione, in grado di paralizzare orecchie e cuori di ogni spettatore. Al risuonare dell’inno, infatti, Nina Guerrizio, nota poetessa campobassana, dice addirittura che te siente stregne ngann ra lu chiant, “ti senti stringere in gola dal pianto”. Per un campobassano, impossibile fermare la lacrima. Nella composizione dell’inno, il De Nigris avrebbe musicato le prime due strofe di un’introduzione alla Via Crucis comunemente attribuita a Pietro Metastasio (nonostante qualcuno abbia avanzato dubbi sulla sua paternità), la stessa che viene eseguita durante le funzioni quaresimali a Santa Maria della Croce e in Cattedrale. Inizialmente, a causa della tonalità molto alta, l’inno poteva essere eseguito soltanto da un gruppo ristretto di professionisti; per questo, dopo la Seconda Guerra Mondiale, il maestro Lino Tabasso, nomen omen, lo ha “abbassato” di due toni e mezzo, dalla tonalità del Sol minore a quella del Re minore, permettendo così a più devoti di intonarlo durante la processione. Il canto vuole essere, in un certo qual modo, il proseguo di quella tradizione vigente tra i congregati Crociati e Trinitari, i quali, nel Cinquecento, cantavano, dopo la melanconica teoria mattutina, il “Lamento della Madonna Santissima”. Di seguito, il testo :
Teco vorrei, o Signore,
oggi portar la croce,
nella tua doglia atroce
io ti vorrei seguire.
Ma sono infermo e lasso,
donami tu coraggio,
acciò nel mesto viaggio
non m’abbia da smarrire.
Svolgimento Il corteo nero e mesto si muove intorno alle ore 17:00 dalla Chiesa di Santa Maria della Croce, snodandosi dapprima nel centro storico e, successivamente, nella parte moderna della città. Se ne percorrono le principali strade con la recita del Rosario da parte del gruppo, mentre il coro canta e la banda suona. Esponenti politici e religiosi, rappresentanti dell’ordine pubblico insieme a delegazioni delle principali parrocchie campobassane compongono il corteo. La statua dell’Addolorata tradizionalmente segue quella del Cristo morto, accompagnata da donne vestite di nero, mentre reggono nastri scuri che partono dalla statua, adornata alla base da un letto di rose rosse. Uno dei momenti più suggestivi è la sosta al carcere: al calar della sera, intorno alle ore 19:30, un detenuto recita una toccante preghiera al cospetto di Gesù morto e di sua Madre piangente. Intorno alle 21:00, la processione si scioglie, con le due statue che fanno rientro nella loro casa, la Chiesa di Santa Maria della Croce, dove vengono custodite per tutto l’anno.

Credit: Gino Calabrese